《威尔第的歌剧与莎士比亚的戏剧》11
《威尔第的歌剧与莎士比亚的戏剧》11
Romeo e Giulietta di Niccolò Antonio Zingarelli, su libretto di Giuseppe Maria Foppa, va in scena il 30 gennaio 1796 alla Scala. I personaggi sono:
Everardo Cappellio, tenore.
Giulietta, sua figlia, contralto.
Romeo Montecchio, soprano castrato.
Gilberto, amico delle due fazioni, soprano castrato.
Matilde, confidente di Giulietta, soprano.
Teobaldo, della fazione dei Cappellj, promesso sposo a Giulietta, tenore.
Foppa ridistribuisce le funzioni drammatiche rimaste vacanti, rifacendosi al dramma di Mercier per il nome della confidente di Giulietta, Matilde-Metilde, ma la sua funzione drammatica, è simile a quella del Pietro, servo di Giulietta, nel dramma di Da Porto. Il personaggio di Frate Lorenzo, Mercier lo trasforma in Benvoglio mentre Foppa in Gilberto ed ha la stessa funzione di amico delle due famiglie, intenzionato a riportare la pace tra di esse. In Foppa la cornice familiare che osteggia l’amore dei due è ridotta al solo personaggio di Everardo Cappellio e riunisce in Teobaldo due personaggi, Tebaldo (cugino di Giulietta) e il conte Paris di Lodrone (promesso sposo della giovane). Nella prefazione Foppa non fa alcun riferimento alle fonti, scrive solo che è tratto dalle Storie di Verona di Girolamo Della Corte a cui si sarebbe ispirato anche Shakespeare e ad una francese di Ducis. Nel sunto della trama esposto nella suddetta prefazione, vi sono delle differenze rispetto a quello che avviene nel libretto: nella prima Giulietta si risveglia e, trovandosi accanto a Romeo già morto, muore di dolore; nel libretto Giulietta assiste all’agonia di Romeo e muore di dolore davanti al padre sopraggiunto. Prima di ciò, nel libretto, Gilberto era andato sulla tomba dei Cappellj per assistere al risveglio di Giulietta, ma vedendo il cadavere di Romeo capisce che il suo messo con il biglietto è giunto a Mantova troppo tardi. Giulietta tenta di strappargli la spada ma Gilberto chiama aiuto e accorrono Everardo e Matilde. Il librettista ha scelto questo finale contorto per consentire a Zingarelli di musicare almeno tre numeri: un assolo di Romeo disperato per la morte di Giulietta; un Duetto dei due amanti felici per un istante e poi subito afflitti per la morte di Romeo; un assolo di Giulietta disperata, ai quali spesso viene aggiunto un quarto numero conclusivo e a più voci in cui intervengono, addolorati e pentiti, gli altri personaggi. Foppa attualizza queste possibilità, dando all’Aria di Romeo un intervento del coro, assegnando la forma canonica al Duetto, inglobando l’Aria di Giulietta nel Terzetto e, pertanto, fornendo a Zingarelli un libretto che risponde impeccabilmente alle necessità dettate dai cantati. Il protagonista, il castrato Crescentini, ha pertanto quattro arie e quattro interventi in numeri a più voci. Coprotagonista è il contralto amoroso che ha due arie, tre esili ariosi e quattro interventi in numeri multipli. Antagonista è il tenore, con due arie e quattro interventi in numeri a più voci. Seguono, in posizione subalterna, i due secondi soprani e il secondo tenore. Anche in questo libretto Foppa dà grande rilievo ai Cori che incarnano la collettività e fungono da ideale cassa armonica per i sentimenti espressi dai personaggi. È inedita l’organizzazione della scena iniziale in cui, mentre i Cappellj si accingono a festeggiare le nozze di Giulietta e Teobaldo, la promessa sposa conosce Romeo e se ne innamora. Le forme chiuse e i moduli musicali più comuni si mescolano, evidenziando un segmento drammatico in cui il librettista e il compositore preferiscono prestare maggiore attenzione alla mimesi dell’azione piuttosto che all’effusione lirica.
Giulietta e Romeo di Nicola Vaccai su libretto di Felice Romani, va in scena il 31 ottobre 1825 al Teatro alla Canobbiana di Milano. Nel solito avvertimento Romani ripropone la sua ipotesi secondo cui, nelle opere per musica, giova moltissimo che il soggetto sia noto ed elude ogni possibile paragone con il libretto di Foppa, dichiarando che l’insidia all’originalità del suo lavoro non proviene dal testo del dramma ma dal ricordo ancora vivo della musica di Zingarelli. I personaggi sono:
Capellio, padre di Giulietta, tenore.
Giulietta, soprano.
Romeo, capo dei Montecchi, mezzosoprano.
Adele, madre di Giulietta, soprano.
Tebaldo, partigiano dei Capelletti, destinato sposo a Giulietta, baritono.
Lorenzo, medico e familiare di Capellio, basso.
Anche qui le forze drammatiche in campo sono le stesse. Differente è il personaggio di Lorenzo, che non è un frate, come nelle fonti, ma un medico e ha la stessa funzione drammatica del Gilberto di Foppa. Qui la madre di Giulietta si chiama Adele e ha funzione drammatica simile a quella della Matilde di Foppa. Infine il personaggio di Romeo viene definito capo dei Montecchi, attribuendogli il potere necessario a guidare un’intera fazione cittadina e facendolo uscire dalla dimensione di ragazzino innamorato com’era nelle altre fonti e affidandogli anche la funzione drammatica che Montecchio aveva nelle fonti. Questa virilizzazione e politicizzazione di Romeo e dell’intera trama, è uno spunto che probabilmente Romani ha tratto dal testo di Ducis.
Anche qui i personaggi sono legati nel regolare triangolo canoro, mezzosoprano-soprano-tenore: Romeo, Giulietta, Capellio. Rispetto all’opera di Zingarelli, in cui tutti i personaggi erano dotati di almeno un’aria, nel secondo le arie sono distribuite secondo una precisa logica gerarchica. Il trentennio che separa le opere l’una dall’altra, ha prodotto una dilatazione dei numeri chiusi, un’intensificazione del dialogo tra le voci, una dinamizzazione delle parentesi liriche, l’emancipazione dei cori dalla mera funzione di cornice e la loro acquisizione di autonomia drammatica.
Il secondo atto inizia con Adele e le sue ancelle che osservano da lontano la battaglia. Giunge un drappello di uomini ad annunciare la morte di Tebaldo per mano di Romeo e Capellio, ripudiata Giulietta, la condanna. Giulietta cede alla proposta del filtro per scongiurare il chiostro.
Nell’introduzione Romani dichiara che, non potendo cambiare il Finale, ha eliminato o almeno modificato, nelle ultime scene, ogni concetto che potesse ricordare le scene corrispondenti del vecchio libretto. Romani utilizza parte del materiale lessicale e tematico del libretto di Foppa, lavorando in termini di disposizio ed elocutio per dare al dolore di Romeo una rappresentazione più intensa e alla sua morte una descrizione più verosimile e minuziosa, e alla disperazione di Giulietta lo stupore di chi scopre di essere vittima di un disegno crudele. Nel Finale il Capellio di Romani sembra ammutolito dal dolore della figlia e dai suoi rimorsi: le tradizionali grida moralistiche di “Tutti”, sono sostituite dal lamento misto al terrore del padre colpevole.
Sul finire del 1829, l’impresario Lanari chiede a Vincenzo Bellini di musicare un’opera e lui decide di rimettere in musica il libretto di Giulietta e Romeo di Felice Romani. Romani, del resto, non essendo ancora stato pagato per un libretto composto per Vaccai, ritiene di poter considerare ancora suo il libretto di Giulietta e Romeo e quindi acconsente. Avendo poco tempo a disposizione, l’opera andrà in scena il 16 marzo 1830, il poeta modifica solo in parte il vecchio libretto e Bellini ricicla molti brani della partitura della recente e sfortunata Zaira. Il libretto, suddiviso in quattro parti da rappresentarsi a blocchi di due, è stato sensibilmente accorciato: i tagli riguardano soprattutto le sezioni dinamiche, i Recitativi, mentre le sezioni statiche, pure ridotte nel numero, sono state ampliate ed amplificate. Tra la seconda e la terza parte del dramma cala il sipario, sull’imminente combattimento tra Capuleti e Montecchi. La terza parte ha inizio con Giulietta che attende notizie dell’esito del combattimento. Arriva Lorenzo e la informa che Romeo è stato salvato da Ezzelino e che lei sarà condotta al castello di Tebaldo per sposarlo. Qui Giulietta prende il filtro non per scongiurare il chiostro ma per evitare le nozze con Tebaldo. Dopo aver bevuto il filtro, creduta morta, la portano in corteo funebre. Romeo, che ha incontrato Tebaldo e lo sta sfidando a duello, vede passare il corteo funebre. Disperato chiede a Tebaldo di ucciderlo; Tebaldo si rifiuta e i due si separano. Come si può notare la materia drammatica è stata ridistribuita e modificata; i personaggi sono:
Capellio, principale fra i Capelletti e padre di Giulietta, basso.
Giulietta, amante di Romeo, soprano.
Romeo, capo dei Montecchi, mezzosoprano.
Tebaldo, partigiano dei Capelletti destinato sposo a Giulietta, tenore.
Lorenzo, medico e familiare di Capellio, basso.
Le 22 scene in cui sono suddivise le quattro parti, contengono 16 numeri (in Vaccai erano 21). Anche qui l’impalcatura drammatico musicale è la figura triangolare in cui, però, l’antagonista del soprano e del mezzosoprano amorosi non è più il padre, ma il promesso sposo Tebaldo (primo esempio di tenore amoroso, poiché qui a Tebaldo è stato dato un nuovo rilievo). Il Finale è simile dal punto di vista drammatico a quello di Vaccai, anche se la parte iniziale con l’aria di Giulietta è stata integralmente rimossa. Romani, pur lasciando inalterata la soluzione delle morti semisovrapposte del Finale, riduce l’estensione dell’epilogo composto per Vaccai.
Zingarelli 1796
Foppa ARIA
Romeo DUETTO
Romeo-Giulietta TERZETTO
Matilde-Everardo-Giulietta
Vaccai 1825
Romani ARIA
Romeo DUETTO
Giulietta-Romeo ARIA
Giulietta
Bellini 1830
Romani ARIA
Romeo DUETTO
Giulietta-Romeo
Eliminato ogni altro numero chiuso, il Duetto fra Giulietta e Romeo, all’unisono, è chiamato a chiudere il dramma. Seguono tre versi, affidati a Capellio e Lorenzo, trascurabili dal punto di vista canoro.
Nonostante la volontà di Bellini di andare aldilà delle norme della scuola e di Romani di liberare il libretto del 1830 da ogni raffronto con quello del 1825, dal 1832 in poi prenderà piede una pratica interpolativa che avrà seguito per tutto l’800: in occasione di una recita al Teatro Comunale di Bologna, il mezzosoprano Maria Malibran, sostituì il finale di Bellini con quello di Vaccai.
L’opera di Bellini ebbe un enorme successo in Italia e anche all’estero e in conseguenza di ciò, fin dal 1830, vennero pubblicate nuove versioni italiane del Romeo and Juliet di Shakespeare, del Giulietta e Romeo di da Porto e altri saggi inerenti.
Persino, nel 1833, tra il primo e il secondo atto dell’opera L’imboscata di Giuseppe Weigl, andò in scena Giulietta e Romeo, ballo tragico pantomimico in sei atti, composto e diretto dal Signor Ferdinando Gioia.
Il 24 novembre 1839, al Conservatoire di Parigi venne eseguita la Sinfonia drammatica Romeo et Juliette composta da Luise-Hector Berlioz per orchestra, soli e coro su testo di Èmile Deschamps, che compose dopo aver assistito ad una rappresentazione dei Capuleti e Montecchi di Bellini al Teatro alla Pergola di Firenze ed esserne rimasto fortemente deluso.
Il musicista maceratese Filippo Marchetti, su libretto di Carlo Marcelliano Marcello, scrive una riduzione del Romeo and Juliet di Shakespeare, rappresentata il 25 ottobre 1865 al Théâtre Lyrique di Parigi; due anni dopo l’opera approda al Teatro Carcano di Milano. Mentre Foppa e Romani hanno evitato il raffronto con il poema di Shakespeare, prendendo a modello i rifacimenti sette-ottocenteschi, Marcello tenta di fotografare l’immenso quadro dipinto da Shakespeare nella sua tragedia e di riprodurlo riducendone le proporzioni, cercando di salvaguardare la complessità drammatica del modello. Nonostante il tentativo di Marcelllo e Marchetti di essere fedeli a Shakespeare, ignorando l’esempio dei poeti e compositori precedenti, proprio nel Finale si avvicinano alla tradizione melodrammatica italiana. Influenzata da una certa eredità verdiana e forse anche dal Grand Opera, la tipica struttura triangolare è qui sostituita da un figura quadrandolare: Romeo-Giulietta-Paride-Lorenzo (tenore, soprano, baritono e basso), relegando gli altri personaggi ad una condizione di evidente subalternità, poiché essi prendono parte solo a numeri a più voci. Il Finale di Marcello e Marchetti ha una struttura drammatica e musicale quasi identica a quella del finale di Romani e Bellini. È solo leggermente più breve (il cantabile di Romeo è di una sola quartina) e si concentra di più sulle figure dei due protagonisti, infatti l’opera si chiude col loro Duetto.
Romeo et Juliette di Charles Gounod andò in scena alla Scala contemporaneamente all’omonima opera di Marchetti. Anche Gounod adotta il Finale lungo.